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al testo di Nicol Errico
Geta, lamento
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Fratello, è davvero così? Amare chi ti è vicino, onestamente, ti fa odiare ancora di più? Non so, non capisco... Roma non vale il tuo delitto, ignora la politica, distrutta deve essere e scongiurata se divide i figli e li uccide. Non sarebbe un qualche miracolo fratello mio, mia carne, se mai più, dico, dovessimo indossare armature arrugginite e brandire armi insanguinate? Se riscuotessimo gloria eterna superando i nemici senza il bisogno dell’estinzione non sarebbe un onore più grande? Vivere senza rimpianti, liberi da governi terreni e lotte di potere nella pace serena e solidale di una riscoperta umanità... Ma tu che hai la spada, fratello, bagnata del mio (nostro!) sangue non vorrai capirlo per molto tempo e così i tuoi sudditi, così gli umani. Dunque, Caracalla, continua pure ma non gridare “Geta!”, il mio nome, quando affonderai in un lago rosso purpureo ricoperto delle viscere sprecate del tuo popolo, i Romani.
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